AntropologiaArcheologia / ArteBiotechChimicaDirittoEconomiaFilologiaFilosofiaFisica e AstronomiaInformaticaIngegneria / ArchitetturaLatinoLetteraturaLinguisticaManagementMatematicaMusicologiaPedagogiaPsicologiaScienze agrarieScienze ambientaliScienze biologicheScienze del farmacoScienze della TerraScienze e tecnologie alimentariScienze medicheScienze naturaliScienze politicheSociologiaStoriaStoria del cinema

Il maxiprocesso come crocevia storico: il ruolo delle donne

di Zammù TV

Un'appassionata lezione dell'avvocato Adriana Laudani (Udi) nell'ambito del laboratorio d'ateneo "Mafia e antimafia: storia, legislazione e attualità": «È la storia di tanti uomini e donne eccellenti che hanno fatto della Sicilia (anche) una terra di resistenza forte ai fenomeni mafiosi»




Adriana Laudani, difensore di parte civile nel processo Fava e nel Maxiprocesso di Palermo e oggi responsabile dell’Unione Donne d’Italia di Catania, spiega perché il maxiprocesso fu un crocevia storico e quale sia stato, in particolare, il ruolo delle donne.

L'incontro si è svolto il 16 aprile 2018 nell'auditorium "Giancarlo De Carlo" del Monastero dei Benedettini, in occasione del laboratorio d'ateneo "Mafia e antimafia: storia, legislazione e attualità", organizzato dai docenti Simona Laudani e Alessandro De Filippo nell'ambito della più ampia iniziativa intitolata alla memoria di Giambattista Scidà "Territorio, ambiente e mafie".

Il 10 febbraio 1986 inizia il maxiprocesso alla mafia, istruito da Falcone e Borsellino. «Ve ne voglio parlare perché è una storia che ho vissuto e che mi appartiene personalmente, ma soprattutto perché è la storia di tanti uomini, donne, poliziotti, giornalisti eccellenti (non di "delitti" eccellenti, ma di persone eccellenti!) che hanno fatto della Sicilia anche una terra di resistenza forte ai fenomeni mafiosi».

«Il maxiprocesso è stato un enorme salto in avanti sul piano giudiziario e un grande fatto culturale. Con il maxiprocesso la mafia non è più come invece era stata intesa per tanto e tanto tempo qualcosa di inafferrabile: un mero costume, una pura mentalità, una sorta di tradizione. Cosa Nostra diventa un fenomeno processabile, condannabile, e dunque una realtà che si può conoscere, combattere e sconfiggere. In quell’aula giudiziaria veniva alla luce il vero volto della mafia: il suo essere parte integrante di un autentico sistema politico e affaristico, non residuo del passato ma fenomeno intimamente legato alla modernità e alla storia stessa del nostro Paese.

Dietro lo straordinario lavoro di Falcone e Borsellino vi era la lunga scia di sangue di tanti magistrati, politici e giornalisti. Accanto a loro il formarsi di una nuova coscienza civile che scendeva in campo apertamente contro il potere mafioso. Il movimento delle donne ebbe, in quella fase, un ruolo di primo piano nel ricostruire e raccontare le caratteristiche assunte dal fenomeno mafioso e la sua azione devastante nel tessuto sociale e democratico della società.

Da qui la decisione delle donne di sostenere apertamente l’impegno dei magistrati antimafia e la volontà di contribuire a delineare un nuovo futuro per la Sicilia, il Mezzogiorno e l’Italia».