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Aria, il documentario. Luce e parole

di Alessandro De Filippo

Aria è un'opera fatta di foto in bianco e nero, accompagnate dalle lettere di tre internati dell'opg di Barcellona Pozzo di Gotto e dalla musica di John Cage. È stata realizzata nel 2006 da Francesco Migliorino, ordinario di Storia del diritto medievale e moderno di Unict, dopo tre anni di ricerche. Non è un'opera narrativa. «Non si sta in poltrona di fronte al Meraviglioso mondo di Quark. Perché non possiamo concederci questo distacco, se vogliamo restare umani»


La fotografia di un luogo. Una stanza vuota, con larghe finestre, invasa dalla luce

Un'immagine silenziosa, secondo una sinestesia automatica nella percezione audiovisiva. Sarà la luce che blocca tutto, a fissare un istante di vuoto. Per questo percepiamo un silenzio ovattato. Come di chi deve tacere, di chi è costretto a tacere. Basterebbe cambiare atteggiamento, disporsi all'ascolto, cercare di sentire tutto, con attenzione, prendendosi il tempo necessario. E allora sarebbe possibile udire una voce, anzi tante voci. 

Tante voci confuse, non dialoganti. Voci che si sommano, che fanno mucchio disordinato, che non veicolano parole concatenate in concetti, che non costruiscono frasi di senso compiuto. Voci che chiedono, che espongono, che rivendicano, che affermano, che minacciano, che implorano. Aria di Franco Migliorino non è un documentario narrativo. Non è fatto per una lettura piana e distaccata dello spettatore. Non si sta in poltrona di fronte al Meraviglioso mondo di Quark. Perché non possiamo concederci questo distacco, se vogliamo restare umani. 

La distanza con il soggetto da analizzare, da raccontare, da rappresentare, è annullata, poi tutto appare lontanissimo, poi è ancora accanto a noi, vicino a noi, dentro di noi. Barcellona Pozzo di Gotto, ospedale psichiatrico giudiziario, OPG. Negli anni Trenta, si chiamava manicomio criminale. Ospedale e insieme carcere, con le sbarre alle finestre, con gli infermieri come secondini, corpulenti e sbrigativi, pronti a immobilizzare tutti e tutto, con le restrizioni e la disciplina, con i confini, i muri, i limiti. E senza le parole. Perché le parole fanno la rivoluzione. Perché le parole sono sempre pericolose. 

Per questo Franco Migliorino dà voce a queste parole. Le sceglie, le ordina, costruisce un discorso compiuto, anche se esitante e non sempre coerente. Perché la vita è esitante e non sempre coerente. E di più lo sono le vite dei reietti, a cui è negato tutto, a cui è imposto il silenzio di quella luce abbagliante che irrompe nelle stanze vuote. Nei gabinetti scientifici ordinati e lindi, in cui accadono cose inenarrabili, in cui i trattamenti hanno il sopravvento sulle persone. Cosa resta da vedere? Cosa resta da ascoltare?

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