Stanza 707 è il primo romanzo del giornalista siciliano. Un noir allegro in cui i ladri lo sono solo a metà, come il nostro mondo in cui siamo quasi tutto ma non siamo niente. Quasi ladri in un paese dominato dalla quasità
Due giovani si ritrovano in una stanza d'hotel a Parigi, vogliono commettere un furto di gioielli. Vorrebbero rubare un favoloso diamante, il colpo non presenta particolare difficoltà. Tutto però si complica quando le vittime, per nulla arrendevoli, reagiscono dando l'allarme. I quattro si trovano così costretti a convivere per un po' all'interno della stanza 707. Questi gli eventi attorno ai quali si snoda la trama di Stanza 707, romanzo d'esordio del giornalista Francesco Merlo. Un noir che presenterà anche a Catania, all'interno della rassegna letteraria del Teatro Stabile, Librinscena.
In
tanti ti conoscono per la più che ventennale attività di
giornalista, sei una delle firme più apprezzate in Italia. Adesso ti
ritroviamo in veste di scrittore, abbandoni il rigore giornalistico
per la libertà della narrativa. Come mai hai fatto passare tutti
questi anni prima di pubblicare un romanzo?
Continuo
a pensare che i giornalisti non dovrebbero scrivere romanzi. In
realtà, in Italia tutti scrivono libri: cantanti attori, domatori di
pulci e trapezisti. Tutti scrivono gialli nel paese in cui non c'è
nessuna inchiesta risolta da Portella della Ginestra ad Avetrana, da
Amanda a tutte le stragi di Stato. Nel paese dove le indagini non le
sa fare nessuno sono tutti giallisti, ogni 25 italiani c'è un
giallista. Allora mi è venuto in mente di prendere in giro il genere
ma mi sono imbrogliato, essendo un siciliano un po' pirandelliano ho
cominciato a prendere in giro me stesso ma alla fine mi sono infilato
dentro questo genere ed è venuto fuori quello che è venuto.
Stanza
707 è un noir in cui troviamo ironia e parodia.
La
chiamerei allegria, ironia e parodia sono cose che rientrano nel
genere. Il mio vuole essere un romanzo allegro e naturalmente
nell'allegria c'è il meglio di noi.
Nel
romanzo due ladri tentano un furto di gioielli ma rimangono bloccati
in una stanza d'albergo insieme alle due vittime. I ruoli si
invertono, i ladri sono i più deboli?
C'è
un po' l'Italia davanti al mondo. Questi due delinquenti a metà, che
siamo noi, sono due catanesi un po' spiantati, due ladri irrisolti,
sono appunto il nostro mondo. Il mondo del quasi. Noi che siamo quasi
occidentali e quasi orientali, quasi europei e quasi africani. Anche
il meticciato che altrove è una doppia pienezza da noi rischia di
essere un quasi. Noi l'inglese lo sappiamo quasi, la storia la
studiamo quasi, siamo quasi moderni e quasi antichi. Quest'idea della
quasità italiana che poi alla fine si scontra invece con la pienezza
e non capisce le grandi cose che le passano davanti.
Questo
è un romanzo ma sembra che si stia raccontando l'Italia. C'è un po'
di rigore giornalistico in questo romanzo?
Io
credo che il giornalismo non è un'attività da rigore, naturalmente
non è nemmeno un'attività da sbracatura. Però nel giornalismo è
consentito quello che Indro Montanelli chiamava l'approssimazione
nobile dovuta alla fretta che invece nei libri non dovrebbe esserci.
È la stessa cosa secondo me riguarda anche la scrittura, cioè la
parola che nel giornalismo può essere anche eccessiva, iperbolica,
nella letteratura deve essere controllata o dal genere o dallo
scrittore che deve stare attento alla sua mano. È abbastanza normale
che uno che ha trafficato con le parole tutta la vita poi un giorno
dice “adesso provo ad usarle invece che trafficarci, con le
parole”.
Antonio
Gnoli su La Repubblica dice che dalle pagine del libro sembra
affiorare la figura di Leonardo Sciascia. Secondo lui lo scrittore
siciliano rivivrebbe nel segreto di questo romanzo. Sono parole che
ti fanno piacere?
Considero
Sciascia un classico, l'ho amato, l'ho conosciuto, lo considero un
gigante della lingua italiana ma non sono sciasciano e non mi piace
lo sciascismo. Penso che se fosse vivo metterebbe nei suoi
comandamenti il superamento di se stesso. Credo che gli epigoni di
Sciascia facciano male alla Sicilia. Non dico quanto la mafia ma un
po' di male lo fanno perché inventano una Sicilia di carta che non
funziona e dalla quale Sciascia ha preso le distanze già ne Il
giorno della civetta. Questa idea della sicilitudine, della
sicilianità, fa male a tutti. L'idea che noi siamo speciali, che il
pomodoro è più buono, che il sole come splende in Sicilia non
splende da nessuna parte, che come amano i siciliani non ama nessuno,
che una dormita a Catania è meravigliosa, che uno sguardo è già
una seduzione, tutte queste sono stupidaggini. Ce le portiamo dietro
e poi diventano alibi per tante cose che non funzionano.