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Il cinghiale che... trasformò Corsignano in un romanzo

di Zammù TV e Irene Alì (redazione web)

A pochi giorni dalla proclamazione del vincitore del Premio Strega, pubblichiamo la conversazione di Giuseppe Lorenti con Giordano Meacci, finalista all'edizione 2016 con il romanzo "Il cinghiale che uccise Liberty Valance"




A pochi giorni dalla proclamazione del vincitore del Premio Strega, pubblichiamo la conversazione con Giordano Meacci, finalista all'edizione 2016 con il romanzo "Il cinghiale che uccise Liberty Valance" (minimum fax). 

L'intervista, curata dal direttore artistico della rassegna letteraria "Leggo. Presente indicativo" Giuseppe Lorenti, è stata realizzata negli studi di Zammù TV a poche settimane dall'uscita del primo romanzo dello scrittore romano. Primo romanzo di un autore che però ha già scritto numerosi racconti e perfino un film, "Non essere cattivo" di Claudio Caligari. In alcuni di questi, come rivela lo stesso Meacci, compare già il luogo in cui il protagonista del libro, il cinghiale Apperbohr, ha preso consapevolezza di sé: «Il romanzo è ambientato in un paesino inventato, al confine tra la Toscana e l'Umbria, che si chiama Corsignano. Se è vero che l'idea del romanzo è partita una decina di anni fa - spiega - è l'edificazione del paese che è partita molto prima, più o meno nel 2000-2001. Nel tempo io ho raccontato Corsignano in molte pagine che però non si concludevano in un romanzo, finché il cinghiale ha preso la scena: è arrivato in paese e ha trasformato quello che doveva essere un racconto in un romanzo».

Ma quale storia raccontata il romanzo? A Corsignano la vita procede come sempre: ci sono donne che tradiscono i propri uomini e uomini che si mettono nei guai. Una vecchia ricorda il giorno in cui fu abbandonata sull'altare, due sorelle eccellono nell'arte della prostituzione e una bambina rischia la morte. E c'è una comunità di cinghiali che scorrazza nei boschi circostanti, come accade in tante zone dell'Italia centrale. Se non fosse che uno di questi cinghiali, colpito da un raggio di luce in piena fronte, non solo diventa capace di elaborare pensieri degni di un essere umano, ma diventa anche consapevole della morte. Il cinghiale che uccise Liberty Valance si ritrova all'improvviso in una terra di nessuno che lo getta nella solitudine ma gli dà la capacità di leggere nel cuore degli abitanti di Corsignano.

«Volevo raccontare attraverso il filtro animalesco (inconsapevole, ingenuo) le pulsioni degli esseri umani, la paura tremenda della morte cui noi rispondiamo inventandoci una vita dopo l'esistenza terrena oppure reinventandoci la vita in funzione di quel "nero" che prima o poi ci riguarda tutti. La consapevolezza della morte nel cinghiale è tuttavia il segno della sconfitta perché lui non sa spiegarla né a se stesso né agli altri, proprio perché è inconoscibile. La differenza tra gli umani e i cinghiali - precisa - è che tutte le fragilità della nostra specie vanno a deflagrare nel momento in cui le osserva Apperbohr: è come se lui si rendesse conto di una serie di elementi comuni, ma non avesse la possibilità né di spiegarlo agli “Gli Alti sulle Zampe” né ai cinghiali con cui ha vissuto fino a quel momento».

Costruito come un "romanzo di formazione linguistica" del cinghiale stesso, il libro ha richiesto perfino l'invenzione del "cinghialese": «La volontà era quella di cercare una lingua che fosse in linea con quello che capitava nel romanzo - chiarisce Meacci -. C'è un momento della scrittura in cui io mi accorgo che se è vero che quello che accade al cinghiale Apperbohr non era stato raccontato finora perché non esisteva la figura del cinghiale Apperbohr, per far capire ai lettori (e a me stesso mentre scrivevo) quali possono essere i rischi, i disagi o le scoperte di un cinghiale che impara il linguaggio, io dovevo prima entrare nel linguaggio dei cinghiali. Io dovevo costruirmi una sintassi che fosse la lingua di partenza del mio personaggio».