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L'invenzione dell'arte islamica nella Sicilia normanna

di redazione web e Zammù TV

Seminario del prof. Jeremy Johns, archeologo dell’Università di Oxford




Ancora prima che i viaggiatori del Nord Europa iniziassero a visitare la Sicilia nel "Grand Tour", il fatto che, attiguo ai templi e ai teatri dell'antichità classica, si trovassero monumenti costruiti e decorati secondo le tradizioni dell'arte e dell'architettura islamica, ma edificati sotto il dominio normanno dall'XI al XII secolo, è stato spiegato come un fenomeno tipicamente siciliano, derivante dalla particolare storia dell'Isola.

Nelle parole del turista inglese Henry Gally Knight (1786-1846), la combinazione di elementi bizantini, islamici e romanici nell'arte e nell'architettura siculo-normanna era "una combinazione che si può trovare solo in Sicilia, e naturale lì, da la miscela delle diverse nazioni”. L'idea che le culture del passato greco e musulmano siano state preservate dalle popolazioni indigene della Sicilia normanna, così che la semplice coesistenza delle diverse comunità dell'isola era sufficiente per generare l'arte e l'architettura ibrida dei re normanni persiste nelle opere degli storici dell'arte dell'Ottocento e del Novecento fino ad oggi.

Questa idea si è rivelata particolarmente resistente per l'arte islamica della Sicilia normanna perché i Normanni furono gli immediati successori dei governanti musulmani dell'Isola. Come scrisse il grande Michele Amari: "i principi normanni seguirono gli usi dei Kalbiti", ed ereditarono da loro l'aspetto islamico del regno, anche l'arte e l’architettura.

Il prof. Jeremy Johns, docente di Art and Archaeology of the Islamic Mediterranean all'Università di Oxford e direttore del Khalili Research Centre for the Art and Material Culture of the Middle East, ospite del dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, sostiene, al contrario, che l'arte e l'architettura islamica dei re normanni ereditarono ben poco dal passato islamico della Sicilia, e furono inventate a metà del XII secolo come un potente strumento politico, un atto di retorica visiva progettato per legittimare la monarchia normanna, da Ruggero I fino al pronipote Federico II, così potente da convincere il suo pubblico anche oggi del fatto che - nelle parole di un panegirista greco di Guglielmo I - il re normanno aveva "accordato e mescolato cose discordi e immescolabili... accordando con saggissima previdenza e unendo in una sola stirpe uomini diversi e discordi”.