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Homaira e l'orgoglio del popolo afghano

di Chiara Racalbuto (redazione web)

In video, un estratto dell'incontro con la giornalista Tiziana Ferrario, in occasione della presentazione del suo ultimo libro "La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli"


«Grazie per essere qui: già questo è un modo per ricordarci che in Afghanistan si sta consumando una tragedia».

Il popolo afghano, fiero e orgoglioso, dilaniato da guerra, freddo, fame e soffocato da una nuova ondata di integralismo che nega anche i più elementari diritti umani, è da subito il protagonista dell'incontro con la giornalista e inviata di guerra Tiziana Ferrario, che lo scorso 16 novembre, nell'aula magna "Santo Mazzarino" del Monastero dei Benedettini, ha presentato il suo ultimo libro, "La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli" (Chiarelettere, 2021). 

All'incontro, organizzato dall'Università di Catania, sono intervenute Adriana Di Stefano, delegata dell'Università di Catania alle Pari opportunità e docente di Diritto internazionale al Dipartimento di Giurisprudenza, e Stefania Panebianco, docente di Relazioni internazionali al Dipartimento di Scienze politiche e sociali. In video, un estratto dell'evento.

La "principessa afghana" si chiamava Homaira ed è esistita davvero: una donna nata in una famiglia reale, con tanti privilegi e diritti, la nipote prediletta di Re Zahir Shah, l'ultimo sovrano afghano, spazzato via da un colpo di stato nel 1973.

Homaira era una donna, prima ancora che una principessa, una donna concreta e intelligente che amava il suo Paese. Quando il regno di Zahir Shah cadde, perse tutto e finì in esilio in Italia, ricominciando da zero e trovandosi costretta a lottare per sopravvivere.

Ed è in Italia che Tiziana Ferrario incontrò questa donna coraggiosa, che ha saputo reinventarsi e ha continuato a dare, nell'ombra e a distanza, un contributo alla sua terra natia, così lontana e complessa. 

«La "principessa afghana" mi ha aiutata a capire meglio il suo Paese» spiega la giornalista, «un Paese con una società completamente differente dalla nostra: dopo l'11 settembre 2001 abbiamo cercato di ricostruire l’Afghanistan tentando di importare un nostro modello di democrazia, ma la loro è una società tribale che si regge su equilibri diversi e su leggi diverse».

Durante la fase occidentale le donne hanno potuto fare quello che a loro piaceva: ascoltare musica, studiare, lavorare. Con il ritorno inaspettato dei talebani, all’improvviso hanno perso tutto.

«Questo deve farci pensare: è successo lì, ma è successo e può succedere anche in altri posti del mondo - prosegue la Ferrario. Quando si hanno dei diritti che sono frutto di battaglie di altri che ci hanno preceduto, bisogna tenerceli molto cari e non permettere a nessuno di metterli in discussione. Le battaglie vanno fatte per aggiungere diritti, non per toglierli».

Cos'è, quindi, "La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli"? «Un libro che ci deve far riflettere sulla fortuna di nascere in questa parte di mondo, ma anche su quello che abbiamo e su quello che non possiamo permettere che venga tolto anche a noi».

Se le donne perdono i diritti, anche gli uomini ne risentono, ritrovandosi accanto compagne frustrate, con meno opportunità di lavoro e meno indipendenza. Allo stesso modo, se l’Afghanistan non sarà più un paese stabile, tutto l'Occidente avrà ripercussioni: «l’Europa sta diventando un groviglio di fili spinati: se non si trova una soluzione, le ondate migratorie arriveranno a destabilizzare i paesi europei, dove lo scontro è sempre più violento».