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The Best Researcher Award 2013, la premiazione

Il momento finale della competizione promossa dal Centro per l'aggiornamento delle professioni e per l'innovazione e il trasferimento tecnologico dell'Università di Catania (Capitt). Diciannove i partecipanti all'edizione 2013 e tre i finalisti scelti dalla commissione di esperti




Breve videocronaca della premiazione (5 luglio 2013, aula magna del palazzo Centrale dell'Università degli studi di Catania) della seconda edizione di The Best Researcher Award, la competizione promossa dal Centro per l'aggiornamento delle professioni e per l'innovazione e il trasferimento tecnologico (Capitt). L'edizione 2013 è stata caratterizzata da un'ampia partecipazione, con ben 19 progetti di ricerca presentati. Tra questi, la commissione di esperti ha scelto i tre finalisti: Sistemi nanotecnologici per la veicolazione intranasale di farmaci per il trattamento di patologie neurodegenerative (responsabile scientifico il prof. Giovanni Puglisi del dipartimento di Scienze del Farmaco), Parametric Architecture and Vacuumatics: project light weights S.E.T.S. (responsabile il prof. Vincenzo Sapienza, che ha guidato un gruppo di ricercatori appartenenti ai dipartimenti di Architettura e di Ingegneria civile) e Rilevazione ultrasensibile di mutazioni puntiformi in DNA genomico non amplificato per una diagnostica prenatale non invasiva (responsabile il prof. Giuseppe Spoto e la dottoressa Roberta D'Agata del dipartimento di Scienze chimiche).

A Rilevazione ultrasensibile di mutazioni puntiformi in DNA genomico non amplificato per una diagnostica prenatale non invasiva è stato assegnato il premio di settemila euro, messo in palio grazie al sostegno dei partner dell'iniziativa: Confindustria Catania, Farmitalia, Eurosoluzioni 2000, Europe Direct Catania, Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Catania e Micron Semiconductor. Alla cerimonia di premiazione hanno preso parte il rettore Giacomo Pignataro, il delegato d'ateneo alla Ricerca Stefania Stefani, il presidente del Capitt Rosario Faraci, il direttore Gesualdo Missale e i rappresentanti delle aziende partner. Su alcuni aspetti legati alle tematiche del trasferimento tecnologico, missione propria del Capitt universitario catanese, sono intervenuti inoltre il professor Arturo Capasso, ordinario di Finanza aziendale e valutazione di impresa all'Università Federico II di Napoli e di Corporate governance e corporate finance all'Università del Sannio, e la professoressa Daniela Baglieri, straordinario in Economia e Gestione delle Imprese all'Università di Messina.

«Intendiamo attivare una grande concertazione con tutti gli attori sociali ed economici del territorio anche in vista della programmazione propedeutica alla partecipazione per l'accesso ai fondi europei di Horizon 2020, che può costituire una grande leva finanziaria per i progetti di sviluppo della Sicilia», ha detto il rettore Pignataro. «Chiaramente, dobbiamo essere in grado di marcare la nostra identità, esaltando la capacità del sistema della conoscenza di offrire valore aggiunto al nostro patrimonio di imprese e produzioni. Per questo, iniziative come quella di oggi, che premia chi si è impegnato in attività di ricerca che prevedano ricadute sullo sviluppo del territorio, certamente possono servire da ostacolo alla desertificazione che investe la nostra comunità, che perde sempre più il contributo di idee e di entusiasmo delle sue giovani generazioni», ha concluso.

«Esprimo apprezzamento ai colleghi che hanno accettato la sfida di sottoporre i propri progetti al vaglio di una commissione composta anche da imprese e istituzioni. La nostra missione è quella di riuscire a tirare fuori dai loro cassetti la buona attività di ricerca e renderla più fruibile al territorio», ha affermato invece il prof. Faraci. «Su questo terreno il nostro ateneo deve recuperare dei ritardi, anche sul versante degli indicatori, stimolando una nuova forma mentis nei ricercatori, che debbono poter immaginare una possibilità di valorizzazione in senso economico-aziendale, economico puro e socioculturale delle loro ricerche e, perché no?, diventando essi stessi imprenditori attraverso la nascita di spin-off o inserendosi in un modello di Open-Science Academy».